Le PMI italiane si trovano oggi di fronte alla crescente importanza dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance) sia per conformità normativa sia per vantaggio competitivo. Una raccolta dati ESG efficace è alla base di un bilancio di sostenibilità credibile e di strategie aziendali vincenti in termini di sostenibilità aziendale.
Le PMI sostenibili possono trarre beneficio da un approccio sistematico alla raccolta di dati ESG. Adottare queste regole significa avviare un percorso di miglioramento continuo: dalla definizione di obiettivi chiari fino alla comunicazione trasparente dei risultati. Vediamo dunque quali sono le “best practice” fondamentali per una raccolta dati ESG efficace nelle PMI italiane, nel contesto delle normative europee CSRD e degli impegni globali come l’Agenda 2030 dell’ONU.
1. Coinvolgimento dell'imprenditore e del top management con obiettivi chiari
Il primo passo è assicurare un forte impegno della leadership aziendale sul tema ESG, definendo chiaramente obiettivi di sostenibilità allineati alla strategia d’impresa. Senza il supporto attivo del top management, la raccolta dati rischia di essere frammentaria o vista come un adempimento burocratico. La direzione aziendale deve invece riconoscere la sostenibilità come priorità strategica e comunicarne l’importanza a tutti i livelli organizzativi. Ad esempio, un imprenditore può fissare l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 della propria azienda del 30% entro il 2030 (in linea con gli obiettivi UE) oppure aumentare la percentuale di energia rinnovabile utilizzata nelle operazioni. Questi target forniscono una direzione chiara e misurabile, motivando l’azienda a raccogliere i dati necessari per monitorare i progressi.
Stabilire obiettivi ESG specifici e misurabili (KPI) aiuta a trasformare principi astratti in traguardi operativi. Ad esempio, un obiettivo ambientale potrebbe essere la neutralità carbonica entro il 2030, come annunciato dal Gruppo Lavazza con la sua “Roadmap to Zero” mirata alla completa neutralizzazione dell’impatto carbonico entro tale data.
Un obiettivo sociale potrebbe essere l’aumento del tasso di diversità di genere nel management al 40% o l’implementazione di un programma di welfare aziendale per i dipendenti.
È fondamentale che questi obiettivi siano realistici ma ambiziosi, e soprattutto che vengano integrati nel piano strategico aziendale (il piano di sostenibilità ambientale e sociale) così da orientare le decisioni di investimento e le attività operative.
L’impegno pubblico su obiettivi di sostenibilità, oltre a guidare la raccolta dati, migliora la reputazione aziendale e crea vantaggio competitivo rendendo chiaro a clienti e stakeholder che l’azienda prende sul serio la propria responsabilità sociale d’impresa.
In sintesi, la Regola 1 consiste nel porre le basi culturali e strategiche: la sostenibilità aziendale deve essere promossa dall’alto e considerata un elemento centrale della mission d’impresa, non un mero costo. Solo con il coinvolgimento diretto di titolari e dirigenti e con obiettivi ESG chiari, la raccolta dati avrà le risorse e l’attenzione necessarie per essere efficace. Questo crea un contesto in cui le altre regole potranno essere implementate con successo, poiché tutto il team saprà perché si raccolgono dati ESG e quale valore aggiunto essi portano in termini di riduzione dei rischi, efficienza e competitività.
2. Analisi di materialità per identificare le priorità ESG
Non tutte le informazioni ESG hanno la stessa rilevanza per ogni impresa: è quindi essenziale condurre un’analisi di materialità per individuare le tematiche ESG prioritarie (i cosiddetti temi materiali) su cui focalizzare la raccolta dati. La materialità in ambito sostenibilità rappresenta il principio per cui l’azienda deve concentrarsi sui temi ambientali, sociali e di governance che risultano più significativi per i suoi impatti e per i suoi stakeholder. In altre parole, i temi materiali sono quelli che riflettono gli impatti più significativi dell’organizzazione su economia, ambiente e persone (compresi i diritti umani). Ad esempio, per una PMI manifatturiera potrebbero essere materiali il consumo energetico, le emissioni e la gestione dei rifiuti (ambiente) nonché la sicurezza sul lavoro (sociale); per un’azienda di servizi invece i temi sociali come la formazione del personale o la privacy dei dati potrebbero avere maggior rilevanza.
L’analisi di materialità generalmente include due prospettive, specialmente alla luce della doppia materialità introdotta dalle nuove normative europee (ESRS): da un lato l’impatto dell’azienda su ambiente e società (materialità d’impatto) e dall’altro gli effetti delle questioni ESG sul valore e sulle performance dell’azienda stessa (materialità finanziaria). Durante l’analisi, è fondamentale coinvolgere i principali stakeholder: ad esempio, si possono organizzare workshop o sondaggi coinvolgendo clienti, dipendenti, fornitori, comunità locali e magari esperti esterni, per valutare quali aspetti ESG sono percepiti come più rilevanti. L’output tipico è la matrice di materialità, che posiziona i vari temi in base alla loro importanza per gli stakeholder esterni e per l’azienda.
Identificate le priorità attraverso la materialità, la PMI può così focalizzare la raccolta dati su quegli ambiti cruciali. Questo evita dispersione di energie nel misurare tutto indistintamente e garantisce che il bilancio di sostenibilità (o la Dichiarazione Non Finanziaria in caso di aziende obbligate) contenga informazioni davvero significative. Ad esempio, se dall’analisi emerge che il cambiamento climatico è un tema materiale, l’azienda dovrà raccogliere dati precisi sulle proprie emissioni di gas serra (Scope 1, 2 e possibilmente 3), sull’energia consumata e sulle iniziative di riduzione delle emissioni. Se invece è materiale la diversità e inclusione, allora andranno raccolti dati su composizione del personale, politiche di uguaglianza, ecc. In sintesi, la Regola 2 è: concentrarsi su ciò che conta davvero – le priorità ESG dell’azienda – assicurando che ogni dato raccolto abbia uno scopo e un valore informativo chiaro in relazione agli impatti e agli obiettivi di sostenibilità della PMI. Questo approccio mirato è anche coerente con l’idea di efficienza: fare di più e meglio con meno, evitando di sprecare risorse su metriche irrilevanti, in pieno spirito di uno sviluppo sostenibile ottimizzato.
3. Adozione di standard riconosciuti (ESRS, GRI, VSME)
Per rendere la raccolta dati ESG efficace e comparabile, è fondamentale rifarsi a standard di rendicontazione riconosciuti a livello internazionale ed europeo. Attualmente, i principali riferimenti sono gli ESRS (European Sustainability Reporting Standards), i GRI Standards (Global Reporting Initiative) e – per le PMI non quotate – il nuovo standard VSME (Voluntary Standard for SMEs). L’adozione di questi framework aiuta a sapere quali dati raccogliere e in che forma presentarli, garantendo al contempo conformità alle aspettative normative e di mercato.
ESRS (European Sustainability Reporting Standards): gli ESRS sono i nuovi standard europei emanati da EFRAG e adottati dalla Commissione UE per uniformare la rendicontazione ESG. Essi coprono tutte le principali aree ESG (ambientale, sociale e governance) e stabiliscono Disclosure Requirements dettagliati che le aziende devono rendicontare.
Gli ESRS nascono per supportare la direttiva CSRD e rappresentano un significativo passo avanti verso una maggiore trasparenza e qualità delle informazioni di sostenibilità in Europa. In pratica, con gli ESRS le imprese europee hanno un quadro comune per riportare dati su impatti ambientali (es. ESRS E1 per il clima, E2 inquinamento, E3 acqua e risorse, etc.), sociali (es. S1 lavoratori, S2 comunità locali, ecc.) e di governance. Per le PMI italiane è importante conoscerli, anche se la CSRD inizialmente obbliga solo grandi aziende e PMI quotate: le PMI non quotate non sono obbligate, ma potranno volontariamente seguire queste linee guida per prepararsi al futuro e rispondere alle richieste di clienti e investitori.
Gli ESRS puntano a migliorare la comparabilità e trasparenza dei dati ESG riportati, incentivando le imprese ad adottare pratiche più sostenibili e allineandosi anche agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite e agli impegni UE sul clima. Ad esempio, un ESRS richiede di fornire informazioni specifiche sulle emissioni di GHG (ESRS E1), sul capitale umano (ESRS S1) e così via, con metriche standardizzate. Alignarsi con gli ESRS significa parlare il linguaggio che regolatori e mercati finanziari in Europa si aspettano.
GRI Standards (Global Reporting Initiative): i GRI sono lo standard volontario più diffuso a livello mondiale per il reporting di sostenibilità. Moltissime aziende, incluse diverse PMI, li utilizzano da anni per i propri bilanci di sostenibilità. La GRI (organizzazione no profit nata nel 1997) fornisce un framework completo per misurare e comunicare le performance economiche, ambientali e sociali dell’impresa. L’ultima versione (GRI Standards 2021) è modulare e suddivisa in Standard Universali (che comprendono principi generali e informative di contesto, come GRI 1, GRI 2, GRI 3) e Standard Specifici di Argomento, organizzati in tre serie tematiche:
- Economia (GRI 200);
- Ambiente (GRI 300);
- Sociale (GRI 400).
Questo significa, ad esempio, che nella serie GRI 300 troveremo standard come
- GRI 302 (Energia);
- GRI 303 (Acqua);
- GRI 305 (Emissioni), ecc.,
Ognuno con specifici indicatori (KPI) da raccogliere.
Utilizzare i GRI aiuta la PMI a capire quali indicatori monitorare per ciascun tema materiale: ad esempio, per il tema “emissioni clima” il GRI prevede indicatori come GRI 305-1: Emissioni dirette GHG (Scope 1), 305-2: Emissioni indirette da energia (Scope 2), 305-3: altre emissioni indirette (Scope 3), ecc.
In un report di sostenibilità ben fatto, le emissioni in atmosfera vengono infatti riportate secondo questi indicatori GRI (305-1, 305-2, 305-3, 305-4, etc.), garantendo completezza e trasparenza. I GRI Standard sono riconosciuti a livello internazionale e spesso richiesti dagli stakeholder: seguendoli, la PMI dimostra di misurare le proprie performance con parametri condivisi e verificabili. Inoltre, c’è un’elevata interoperabilità con gli ESRS: come detto, chi già usa GRI sarà facilitato nel soddisfare i requisiti ESRS, poiché molti indicatori coincidono o sono simili (ad esempio, l’ESRS E1 richiede dati su emissioni Scope 1-2-3 analoghi ai GRI 305-1/2/3).
VSME (Voluntary Standard for SMEs): introdotto alla fine del 2024, il VSME è uno standard volontario specificamente pensato per PMI e micro-imprese non quotate. È stato sviluppato dall’EFRAG come alternativa proporzionata alla rendicontazione completa ESRS, per supportare le piccole aziende che non rientrano nel perimetro della CSRD ma che vogliono (o devono, indirettamente) comunicare la loro sostenibilità. In molti casi infatti anche le PMI non obbligate subiscono pressioni da banche, clienti corporate o filiere internazionali per fornire dati ESG.
Lo standard VSME, allineato nei contenuti agli ESRS ma semplificato, offre un framework pragmatico che consente di riportare i principali dati ESG senza l’onere eccessivo di un reporting esteso.
In base alle proposte normative recenti (pacchetto Omnibus 2025), il VSME potrebbe diventare il riferimento volontario per tutte le aziende al di fuori del campo CSRD, ovvero quelle con meno di 250 dipendenti o non quotate.
La struttura del VSME prevede due moduli:
- un Modulo Base con 11 requisiti di disclosure che coprono i dati ESG fondamentali (generali, ambientali, sociali e di governance);
- un Modulo Completo opzionale con ulteriori 9 requisiti per approfondimenti su temi specifici richiesti dagli stakeholders.
Importante, il VSME non richiede un’analisi di materialità formale (per semplificare il processo), ma adotta il principio “if applicable”: certe informazioni vanno fornite solo se pertinenti al contesto dell’azienda. Per una PMI italiana che vuole iniziare a strutturare il proprio reporting ESG volontario, il VSME può essere una guida utile, in quanto proporzionato alle capacità di imprese più piccole. Allo stesso tempo, essendo concettualmente allineato agli ESRS, il VSME prepara l’azienda a un futuro passaggio a standard più completi qualora crescessero gli obblighi o le aspettative del mercato.
In conclusione, la Regola 3 è: utilizzare un framework. Che si scelga GRI (molto diffuso a livello globale), gli ESRS (per stare al passo con le normative UE) o il VSME (se si cerca un approccio semplificato su base volontaria), l’importante è non improvvisare. Basarsi su standard riconosciuti garantisce che la raccolta dati ESG della PMI copra tutti gli aspetti rilevanti, con indicatori definiti e metodologie coerenti. Ciò facilita anche eventuali confronti (benchmark) con altre aziende del settore e rende il bilancio ESG dell’impresa credibile agli occhi di finanziatori, partner e altri stakeholder.
Seguendo queste 3 regole fondamentali una PMI italiana può costruire un solido percorso di sostenibilità. Non è un processo che avviene dall’oggi al domani: richiede impegno, formazione e miglioramento continuo. Ma i benefici sono chiari: compliance con normative (presenti e future), maggiore efficienza operativa, accesso facilitato a finanziamenti e mercati, miglior rapporto con tutti gli stakeholder e un contributo concreto allo sviluppo sostenibile del nostro Paese.
In definitiva, impostare una raccolta dati ESG efficace significa dotare la propria impresa di uno strumento gestionale potente, che la guiderà verso un futuro più resiliente, responsabile e di successo. Con dati affidabili alla mano, la PMI potrà dimostrare e migliorare il proprio impatto, trasformando la sostenibilità da obbligo a leva di valore competitivo.